martedì 30 novembre 2010

Io sto con chi occupa

Finalmente direi!
Finalmente una intera generazione manifesta pubblicamente il suo disagio.
Io sto con loro. Sto con quei ragazzi che occupano le facoltà, che occupano i monumenti offrendo simbolicamente l'interpretazione più vera delle motivazioni che li spingono a protestare.
Sto con loro e sorrido, perchè sento che può essere l'alba di un nuovo giorno.
Erano anni che la generazione dei ventenni non alzava la voce.
Avevo quasi paura che fosse addormentata e anestetizzata da questo oblio, da questo declino sociale e civile che contraddistingue i nostri tempi.
Avrei voluto esser con loro più direttamente (e forse lo sarò) perchè ho ancora vive dentro di me le battaglie studentesche dei miei tempi: le occupazioni, le riunioni dei coordinamenti con gli altri rappresentanti di istituto per dire no alla equiparazione scuola pubblica-privata, per dire no alla riforma Jervolino, le manifestazioni in piazza con cortei e sit-in di protesta, i corsi alternativi di musica, teatro e psicologia negli istituti occupati per decine di giorni, le "visite" alla questura, le colazioni con la digos, le bombolette e i lenzuoli per gli striscioni...
Mi vengono i brividi solo a ripensare all'attivismo di quei tempi.
Ecco perchè sono con loro, perchè hanno risvegliato anche in me questo istinto di reazione al malcostume e alle ingiustizie che pareva sopito o attenuato.
Forza ragazzi! Io sono con voi!

martedì 23 novembre 2010

Memorie a trent'anni dal terremoto

Ogni evento storico, catastrofico, rivoluzionario, importante si ricorda solo se vissuto con i propri occhi. O meglio, ci si ricorda in maniera più o meno dettagliata di quello che si stava facendo in quegli attimi. E così per me, ad esempio, l'11 Settembre è legato ad un pomeriggio di studi sul divano di casa andato in malora, ipnotizzato com'ero dinanzi a Rainews24 e la sua diretta.
Ma avevo già 25 anni e il ricordo è sicuramente più vivo e lucido in me.

Diversa è la questione del terremoto dell'80.
Avevo appena 4 anni e anche a sforzarmi mi tornano in mente soltanto flash, episodi e situazioni, battute e sensazioni di cui non ho la certezza e la contezza piena.

Era sera...non avevamo ancora iniziato a cenare.
Abitavo in fitto in via Cappelluti e quella sera c'erano a casa i miei cari nonni materni (sigh!).

Ero nella mia cameretta con mia sorella ad ascoltare per la diecimilionesima volta il disco di "Bianca e Bernie" con il mitico mangiadischi rosso.
Eravamo seduti per terra, ne sono quasi certo, con mia sorella che seguiva con il ditino sul libretto la narrazione proveniente dal quell'aggeggio fantastico.

I miei erano in cucina che chiacchieravano spensieratamente.

D'un tratto trema tutto, io mollo tutto e corro in cucina urlando impaurito.

Ci abbracciammo tutti.
Fu la prima reazione istintiva. Una famiglia abbracciata per proteggersi.
La luce andava e veniva e poi sparì lasciandoci al buio più assoluto.
Io continuavo a chiedere ossessivamente cosa fosse quel rumore, quel boato.
Mio nonno mi diceva che proveniva dalla strada: "sono dei grossi camion che passan di qui sotto", mi diceva. Io immaginavo file di carri armati o camion giganteschi ma non potevo vederli.
Poi la corsa nelle scale. Ricordo vicini di casa in lacrime, urla impaurite sui pianerottoli, scale fatte a quattro a quattro in braccio a mio padre. Tanta paura.
Poi la notte in strada e la sensazione amara di non aver ben compreso la portata della catastrofe.
Questo è quello che la mia mente ricorda...in realtà pochi dettagli si sono aggiunti in seguito forse perchè abbiamo sempre voluto rimuovere quella triste esperienza non parlandone più.
Di lì è infatti cominciato un peregrinare infinito e una condizione di instabilità che forse ha portato i suoi frutti a tanti anni di distanza.
Evacuati, ospitati 6 mesi in albergo (mitico Hotel De Nicola).
Poi in fitto per la disperazione e la stanchezza di vivere una vita da sfollati.
Poi nei prefabbricati per due anni: l'asma bronchiale per l'allergia alle graminacee, i disagi della periferia, i sacrifici per comprar casa stanchi di aspettare una casa popolare vivendo in 40 mq di lamiera...

Ho subito e vissuto sulla mia pelle quel dramma sviluppando, ad esempio, una ipersensibilità alle scosse di terremoto: se la notte, anche a distanza di anni, c'era una scossa del 4°-5° grado della scala Mercalli io sobbalzavo dal letto, il cuore in petto mi batteva a mille e la mattina ero sempre il primo a raccontare del terremoto avvertito.
Fino ai nostri giorni: ancora oggi, in fondo, ho il terrore per gli eventi sismici.
Son passati 30 anni e sicuramente senza quel terremoto la mia vita oggi non sarebbe la stessa.
Un pensiero particolare va a chi non c'è più, ma soprattutto a chi è rimasto e piange uomini, cose, case distrutte e vite spezzate.
Abbraccio tutti virtualmente, un pò come facemmo noi quella sera nella cucina di via Cappelluti.


sabato 20 novembre 2010

Fine e mezzo


Mi capita spesso di attorcigliarmi mentalmente e fisicamente su questioni di principio.
Limite, vizio o virtù? Non sta a me dirlo.
Di certo c'è che ho imparato a dire sempre quello che penso liberamente, senza sudditanza psicologica o timore di esser denigrato, deriso o isolato per le mie idee.
Step più duro ma su cui sto lavorando è far seguire alle idee le azioni ma non è questo il punto di questa disamina.
Il più duro dei miti da sfatare, quello contro cui più sovente cozzo è senza dubbio "il fine giustifica i mezzi". E' un'affermazione che aborro convinto come sono che se pur il fine sia quanto mai nobile e prestigioso conti molto più il mezzo attraverso cui lo si conquista.
E questo perchè sono fermamente convinto che raggiungere un traguardo attraverso percorsi discutibili o con mezzi non immuni da critiche e perfettibili porti, nella migliore delle ipotesi ad un'effimera vittoria.
Se non si combatte la battaglia con coerenza (nei fatti oltre che nelle parole) e con armi lecite e indiscutibili, nell'ipotesi più ottimistica si raggiungerà un vittoria che ci porterà in un punto di equilibrio instabile.

Uno stato di instabilità per il quale le ferite occorse (curate, cicatrizzate o meno) durante la battaglia costituiranno certamente elementi destabilizzanti, granelli di sabbia tra gli ingranaggi della macchina in questo stato di equilibrio in grado di incepparla nuovamente e farla ripiombare in un nuovo stato di squilibrio persino peggiore dello stato di partenza.
E' per questo che son sempre più convinto che il mezzo conti e che conti forse più del fine stesso.
Altro che.

lunedì 15 novembre 2010

La Panchina /2

A questo posto occorre una spolverata...trovo sempre meno il tempo di aggiornare, pensare e curare il mio blog ma questo post giace nel mio cassetto da troppo tempo ormai ed è giunto il momento di pubblicarlo. Ora, fantomatici lettori del mio diario personale, non aspettatevi nulla di che dal post, nessuna rivelazione, nessun tono polemico o giustificazione per la mia assenza...è solo un post per riprendere a parlar della mia visione del mondo su questo spazio digitale.

LA PANCHINA parte 2

Michele: Ehi Francè…tuttappò? Che facciamo stasera?

Francesco: Michè…che vuoi fare? Non c’è niente da fare! Come sempre!

Michele: Perché? Non possiamo riunirci con gli altri e suoniamo nella tua cantinetta?

Francesco: No Michè…l’ultima volta quel pesantone del terzo piano ha chiamato la polizia…non riusciva a prendere sonno…alle dieci!!!

Michele: Uffa, e allora? Andiamo ad Altamura? O al bowling a Metaponto?

Francesco: Vediamo che dicono gli altri ma non credo…ma tu hai la macchina stasera?

Michele: No, niente…mio padre non me la lascia…il mese scorso mi hanno tolto i punti col palloncino e s’è arrabbiato.

Francesco: e con i motorini?

Michele: Il mio è senza fanali, quello di Marco sta dal meccanico, lo sta trasformando in una bomba Francè! Se senti il casino che fa la marmitta…quando arriva te ne accorgi da 5 chilometri.

Francesco: Quel pazzo…e se lo fermano?

Michele: Non lo fermano…quello se ne scappa…c’ha la targa che non si legge…e poi se lo fermano chiama allo zio, si fa strappare la multa e ridare il motorino…e mo lo freghi a Marco.

Francesco: Vabbè..comunque anche volendo non ho nemmeno i soldi per la benzina…rimaniamo qua?

Michele: E vabbù..ma dove andiamo?

Francesco: In mezzo al corso che c’è stasera?

Michele: Lo struscio! Come ieri sera! Anzi, ti svelo un segreto: ci sarà anche domani sera.

Francesco: Non sapevo avessi la sfera di cristallo! E per i Sassi?

Michele: Ho sentito che stasera organizzano una visita guidata nel più bel parcheggio a cielo aperto d’Italia.

Francesco: Ah ah ah! Che bordello laggiù…

Michele: E quindi?

Francesco: E che ne so…ce ne andiamo al parco sopra al cimitero vecchio.

Michele: Oh…di nuovo…che pizza.

Francesco: E che vuoi fare? Almeno là ci stiamo tranquilli, non ci vede nessuno e passiamo la serata.

Michele: Ma io mi rompo…Non c’è nemmeno una femmina… Ma almeno compriamo qualcosa?

Francesco. E si…mo vediamo…mettiamo un euro a testa e ci compriamo una bottiglia dal discount.

Michele: Vabbù, che ti devo dire…chiamo Angioletto e gli faccio portare un po’ di fumo?

Francesco: Dobbiamo mettere un altro euro a testa quindi?

Michele: Si dai. Anzi…due patatine non le vogliamo comprare?

Francesco: Oh…mo non esageriamo…io so’ figlio di cassintegrato…

Michele: E mica ti ho detto 100 euro!?!?

Francesco: Vabbù…è andata. Avvisa gli altri! E mangia a casa, così ti fai il “tappo”.

Michele: Ma pensa a te…io lo reggo l’alcool!

Francesco: Si…sono le panchine e le altalene che non reggono te!

Michele: Perché a te invece? L’altra volta un lampione e una panchina hai spaccato!

Francesco: Chi io? Non me lo ricordo…

Michele: E lo so che non te lo ricordi…non ti ricordi nemmeno che hai vomitato l’impossibile…

Francesco: Infatti…non mi ricordo niente…mi ricordo solo il cerchio alla testa che mi è venuto la mattina dopo.

Michele: ah ah ah…a più tardi baccalà.

La noia, il disinteresse e l’inciviltà si alimentano con l’immobilismo e l’assenza di spazi aggregativi e sociali. I nostri ragazzi, i nostri figli, vivono e si muovono in un ambiente che non permette loro di esprimere e coltivare le loro passioni. Si ritagliano così i propri spazi di libertà e sfogano una vitalità e un’aggressività repressa contro loro stessi e contro le cose.

Una buona amministrazione comunale dovrebbe avere a cuore le esigenze degli “uomini di domani”.

Dovrebbe adoperarsi per prevenire i comportamenti devianti e non solo inseguire e perseguirne i fantomatici artefici.

Una città “piatta” è una città decadente.

In una città decadente proliferano ignoranza e delinquenza. Basterebbe poco per ovviare a tutto ciò: un centro sociale, un festival di musica dal vivo giovanile, una buona gestione degli spazi pubblici, una campagna di sensibilizzazione.

Ma occorrerebbe anche un’attenzione maniacale nella riparazione delle devastazioni, nella cura dell’arredo urbano e nella custodia del patrimonio pubblico per non lasciare intendere che il disordine e il degrado sono in linea di massima tollerati.

Non lo dico io ma lo dicono studi sociologici internazionali (ad es. Teoria della finestra rotta – James Q. Wilson e George Kelling – 1982).

Non basta inveire e proibire. A meno che non si voglia solo fare propaganda.