sabato 15 novembre 2008

La mafia in mezzo a noi

Venerdì 13 ho avuto l'occasione di partecipare ad un interessante incontro dibattito sulla legalità in Basilicata. Gli ospiti dell'associazione Pensiero Attivo di Ferrandina (MT) e protagonisti del dibattito sono stati Salvatore Borsellino, Benny Calasanzio Borsellino, Don Basilio Gavazzeni, Pino Masciari, Vincenzo Montemurro, Leonardo Pinto e Nicola Piccenna nelle vesti di moderatore.
Il tema al centro del dibattito è stato la diffusione delle mafie e le forme attraverso le quali si manifesta nella nostra regione. Un dibattito interessante, a tratti demoralizzante ma senza dubbio un'occasione in più per parlare e denunciare piuttosto che tacere e voltare la testa dall'altra parte.


Toccante e incisivo l'intervento di Salvatore Borsellino, fratello del compianto Paolo, brutalmente ammazzato in quel di Palermo nella strage di Via D'Amelio del 1992.
Il ricordo più netto del suo intervento è senza dubbio l'affermazione, carica di rabbia, che lo Stato avrebbe in se tutte le capacità e i mezzi per distruggere le mafie se solo non avesse accettato il compromesso e l'infiltrazione dell'Antistato nei suoi ranghi.
Dopo la stagione delle stragi, l'Antistato e lo Stato si sono fusi e confusi, la commistione politica-mafia e mafia-imprenditoria stringe ormai la Sicilia e l'Italia tutta in una morsa letale. Emblematico è anche il ricordo dell'ultima intervista di Paolo Borsellino a due giornalisti francesi, mai mandata in tv se non in un passaggio su "La 7" alle 2 di notte in cui il magistrato parla dei nuovi riferimenti mafiosi nelle istituzioni: agghiacciante.
Intenso e straziante poi il ricordo delle parole scritte nella sua ultima lettera in cui definisce la mafia come problema morale contrastabile non con la repressione ma con con il movimento culturale. La lotta alla mafia,diceva, non è nei tribunali ma nelle famiglie, nelle scuole e tra le persone...alla ricerca di quel fresco profumo della libertà svanito...
Poi i ricordi delle sue ultime giornate passate freneticamente a lavorare perchè sapeva di non aver tempo, di non averne più abbastanza. Il vomito (letterale) dopo gli interrogatori a Mutolo e Messina, la telefonata del capo quella tragica mattina per avvisarlo di passare per ritirare un documento, poi le accuse a Mancino di Strage di Stato.
Perchè ci sia giustizia lo Stato dovrebbe processare se stesso (Sciascia afferma sia impossibile). Poi un duro attacco all'opinione pubblica, Salvatore dice di esser stanco, stanco di ricevere strette di mani e manifestazioni di stima.
Le sue parole: "Alla fine dei miei interventi molti mi dicono: ci ha commosso. Ma io gli rispondo: allora il mio intervento non è servito a un cazzo, dovete indignarvi, dovete arrabbiarvi, non è più tempo di piangere ma di reagire. Ognuno di noi deve fare il suo dovere e estirpare la mafia prima da se stessi e poi dagli altri. Se Dio avesse voluto che la morte di Paolo fosse stata necessaria per cancellare le mafie sicuramente Paolo avrebbe accettato il suo sacrificio, e invece lo stato in cui ci troviamo non fa onore a mio fratello."
Parole dure, parole di un uomo che ha sofferto e soffre per la perdita del familiare, per la mancata giustizia, per l'indifferenza della gente e tutto quanto ne segue.
Parole scolpite nella mia mente ormai.
Poi il discorso si è spostato sul locale, sulle nostre mafie, sull'intreccio affari politica...ma questa è una storia che merita un post a se, e troverò il tempo e il modo per riportare quanto ho udito.

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